Brano: [...]al punto che queste sette approvavano Io schiavismo). Nel clima di aspra concorrenza che nei secoli dal XVII al XIX caratterizzò il capitalismo nascente, l’appartenenza a una di queste sette (pietisti, quaccheri, anabattisti, ecc.) per chi iniziasse una professione o volesse entrare nel mondo degli affari costituiva quasi una condizione “sine qua non” per emergere, il miglior viatico nella strada verso il successo.
Vigeva infatti aM’intemo delle sette protestanti il principio del reciproco sostegno e della solidarietà nel
lo stipulare gli affari, nel concedere il credito ecc., ma esservi ammessi non era facile: l’aspirante neofita doveva essere presentato da membri iscritti e poteva essere accettato solo se vi era l’approvazione dell’intera comunità; inoltre doveva attraversare un periodo di prova di almeno 6 mesi. La disciplina, soprattutto in campo economico, era rigorosissima. Le eventuali vertenze economiche tra i confratelli venivano risolte all’interno della setta. In caso di trasferimento ogni membro aveva un certificato, una sor[...]
[...]era che lo accompagnava da una sede all’altra e ne garantiva l’idoneità. Alcune sette avevano un distintivo.
« L’espulsione dalla setta, dovuta a trasgressione di una qualche norma etica, comportava in campo commerciale la perdita di credito ed un declassamento sociale. [...] Il successo capitalistico di un confratello settario era, se conseguito rettamente, una dimostrazione della sua affermazione e del suo stato di grazia » (Cfr. Max Weber, Le sette e lo spirito del capitalismo, Milano, 1977, pag. 65 e pag. 98).
Dato il loro fondamento sostanzialmente economico, quantunque fossero assistite da ministri del culto (“pastori”, retribuiti dalla comunità) e guidate da consigli di anziani laici, le sette erano di fatto dominate da oligarchie più o meno ri
strette costituite da quei confratelli che, avendo maggiori disponibilità economiche, potevano condizionarne l’esistenza e il funzionamento. Nei conflitti di lavoro e più in generale nell’attività politica, gli imprenditori appartenenti alle varie sette si sostenevano fra loro, schierandosi nelle lotte di classe su posizioni particolarmente reazionarie.
Le sette operaie
Le prime associazioni operaie sorte in Europa all’inizio del secolo XIX, quantunque non fossero religiose e socialmente si trovassero agli antipodi rispetto alle sette protestanti borghesi, mutuarono in gran parte da queste l’ideologia calvinista e i metodi organizzativi: il lavoro visto come “vocazione”, l’organizzazione esclusiva e corporativa di mestiere, l’estremo frazionamento, una concezione ristretta del solidarismo sociale e il conservatorismo ideale. Questi limiti erano presenti anche nell’attività dei partiti di opposizione ai quali i gruppi di operai aderivano, lasciando ampi spazi di manovra all’opportunismo dei loro dirigenti radicalborghesi.
Appunto per combattere questo stato di cose, nel 1847 Marx ed Engels aderirono alla Alleanza dei com[...]